Testata: Il Messaggero
Data: 20-11-2001

Autore: Ortensia Visconti

Primo Piano - Strage di giornalisti
Su quella sterrata altri due agguati

Jajajabad- Alle dieci di ieri mattina quatro giornalisti hanno perso la vita sulla strada per Kabul. Il convoglio di otto macchine aveva lasciato Jalalabad dopo che i suoi passeggeri avevano fatto colazione nella grande sala ristorante dell'albergo in cui avevano passato la notte. Quando sono partiti sembravano entusiasti di raggiungere la capitale e qualcuno si è informato sulla sicurezza della strada che avrebbero percorso. "E' sicura, tutto a posto.", gli è stato risposto da uno degli autisti. E' una strada sterrata, che costeggia per diversi chilometri un grande lago tra le montagne. A tratti popolata da gruppi di uomini armati non identificabili. I banditi hanno provato a deviare il convoglio col pretesto di uno scontro a fuoco tra Talebani e Mujaheddin pochi chilometri più avanti. Ma i giornalisti si sono insospettiti e hanno cercato di tornare indietro. Purtroppo gli assalitori sono riusciti a fermare la macchina. Li hanno fatti scendere e quando loro si sono girati a guardarli hanno cominciato a sparare. "Volevano derubarli", dice l'autista che è sopravvissuto, Mohammed Farad. Due ore più tardi, sulla stessa strada, sembra che questa tragedia non sia mai accaduta. Eppure nella mattinata gli assassini hanno organizzato altre due imboscate, oltre a quella che ha coinvolto il convoglio. La regione di Nangarhar è pashtun, l'etnia talebana.
Alle 13,08 di ieri, nella casa del governatore a Jalalabad, è stata ammainata la bandiera bianca simbolo dai Talebani. Hagi Kadir ha ripreso ufficialmente la carica di governatore dopo cinque anni di esilio in Pakistan: "Sono stato eletto capo di questo consiglio che rappresenta tutte le tribù e i villaggi - ha detto- Il potere locale non sarà dato ai militari. Insieme proveremo a portare la pace in questa provincia, a difendere i confini e a trasformare questo consiglio in governo. Non siamo contro l'Alleanza del Nord, ma finché non ci sarà un governo centrale ce ne deve essere uno locale per garantire la sicurezza dei cittadini." Alla fine della cerimonia la folla si è dispersa e la bandiera dell'Alleanza del Nord è rimasta per terra. A Jalalabad tre uomini su cinque girano con un Kalashnikov a tracolla. "Questi li abbiamo appena dissotterrati - dice Morad Ali che ha 20 anni- Li avevamo nascosti per non farli prendere ai talebani." Ma le armi sono lucide e non sembra che abbiano passato gli ultimi cinque anni sotto terra. Inoltre, la bandiera talebana sventola in vari punti della città, compresa la sede dei servizi segreti. Il segretario generale della polizia, Hagi Hazart Ali dice che è una situazione temporanea: "Presto sequestreremo le armi e ammaineremo le bandiere. Siamo stati molto occupati. Dopo la caduta di Kabul, i Talebani sono arrivati a migliaia. Gli stranieri sono fuggiti in Pakistan, per gli afgani abbiamo annunciato un'amnistia. Hanno posato le armi e si sono riinseriti nella società. Sono fratelli, parte di noi. Non vogliamo farli scappare come i comunisti nel passato."
Considerando il numero di uomini armati nella provincia è difficile credere che i Talebani abbiano posato le armi. "Non si sono volatilizzati, sono tutti qua. Non erano usciti dal niente, ma erano cittadini afgani." Hafi Zullah indica gli uomini che gli si sono radunati attorno: "Eccoli. Non lo ammetteranno mai ma sono loro con la barba più corta. "Effettivamente nel Nangarhar l'ostilità è percepibile tra i gruppi di uomini che si affollano intorno agli stranieri ad ogni occasione. Davanti al palazzo di giustizia, ieri mattina, l'autista ha inserito una cassetta di musica afgana nell'autoradio. Quattro uomini armati sono avanzati verso la macchina. Uno di loro mi ha tolto bruscamente la sigaretta dalle dita e l'ha fatta a pezzi. Gli altri hanno trascinato Habib fuori dal taxi e lo hanno sbattuto sul cofano urlando: "Nel nome di Allah, togli quella musica, infedele!"
Non è chiaro chi siano gli assalitori dei quattro colleghi uccisi questa mattina. Ma la situazione, dopo la vittoria dell'Alleanza del Nord, sembra sempre più incerta e meno definita. Zahi Dullah, un cittadino di Jalalabad, racconta che è dovuto fuggire da Kabul perché di etnia pashtun. "I soldati dell'Alleanza del Nord mi hanno chiesto dove andavo. Quando hanno capito che ero pashtun hanno tirato fuori il coltello e volevano ammazzarmi." Forse non ha torto il dottor Naqui Bulla, anche lui un pashtun, quando dice che questo paese non sarà mai in pace: "Le Nazioni Unite ci devono mandare delle truppe di pace, sennò qui non sopravviviamo."