Testata: Il Messaggero
Data: 25-11-2001

Autore: Ortensia Visconti

Primo Piano - Afghanistan
"Sono passato al nemico ma i mujaheddin non mi pagano."

Kabul- Il maulana Abdul Hat non ha paura di ammetterlo. Stanco del precedente governo filo- russo è diventato talebano nel settembre del '96, raggiungendo i guerriglieri a Kandahar. Dopo la caduta di Kabul, il suo comandante ha preso le armi ed è fuggito insieme a unn gruppo di talebani in una carovana sulle "White Mountains". Essendo residente a Jalalabad, Abdul è rimasto in città e alle dieci di mattina si è arreso ai Mujaheddin. Ha otto figli: il più grande ha 12 anni e conosce cinque libri cornici a memoria. Le sue sei bambine non studieranno mai, e finché lui potrà vederle non usciranno mai di casa senza il burqua.
Secondo il maulana, il governo talebano è stato quello che negli anni ha dato più ordine e sicurezza agli afgani: "Gli altri governi erano contro la nostra tradizione. Erano incerti, perché non si basavano sulla legge islamica. Ho combattuto per l'Islam, contro gli infedeli." Abdul Hat porta ancora il turbante nero datogli dai Talebani, e si passa tra le dita le palline da preghiera, qualcosa di molto simile a un rosario: "Sono passato dalla parte del nemico. Tutti i Talebani afgani sono diventati Mujaheddin. Gli altri, la maggior parte arabi e Pakistani sono dovuti fuggire o sono stati uccisi. Credo che gli afgani del nuovo regime siano vicini all'Islam, ma se non seguono le nostre tradizioni annunceremo un'altra jihad. Questo dev'essere uno stato mussulmano. Abbiamo combattuto per 15 anni, possiamo ricominciare domani." Oggi il maulana è disoccupato. E' sempre stato un guerriero e non sa che fare. Per le sue conoscenze coraniche potrebbe insegnare in un Madrass, e forse lo farà, ma rimpiange i "duecentomila afgani mensili più otto dollari al giorno" che riceveva dal suo comandante talebano. "I Mujaheddin non mi danno niente", dice rassegnato.
Da KAndahar arrivavano soldi, i comandanti ne ricevevano a seconda del numero di soldati delle loro brigate, e spesso questo numero aumentava notevolmente. Ma Abdul Hat non crede che ci siano responsabili diretti per la disfatta del "governo" talebano: "Osama Bin Laden è un mujaheddin, come noi. E' stato un grande problema, abbiamo perso molti fratelli a causa dei bombardamenti. Io, personalmente, ho visto morire il mio. Sul fronte, per un mese non abbiamo dormito. Eravamo stanchissimi a causa delle bombe. Ma non è stato responsabile di tutto questo: tutte le difficoltà ci vengono da Dio, non da Bin Laden. Ci hanno detto che non è più in Afghanistan, ma se tornasse io combatterei ancora per lui."
Adi Herkba ha 27 anni. E' arrivato dal Papista per combattere la Jihad ed è finito in prigione. I suoi occhi sono fulmini neri sotto il turbante, la sua violenta dignità gli impedisce di sorridere. "Mi disturba che una donna mi faccia delle domande", dice. Ma poi risponde, forse a causa del direttore della prigione che lo guarda dal fondo del cortile. "L'attentato negli Stati Uniti è stato solo il risultato di una guerra. Molti stranieri aiutano i Talebani: siamo mussulmani, non ci sono barriere tra di noi. C'è un versetto nel Corano che dice che Dio ha mandato il Profeta per eliminare le altre religioni e fare crescere l'Islam. Il nostro scopo è di fermare la brutalità dei paesi occidentali verso i mussulmani e di creare una forte e potente comunità islamica". Non sembra vero. Adi Herkba usa parole di altri. E' il risultato perfetto del lavoro delle scuole coraniche e delle organizzazioni terroriste: "Non mi manca la mia famiglia. Il mio obbiettivo è alto, più alto della famiglia: un paese governato dalla legge islamica. La mia vita è pronta al sacrificio per difendere la dignità dell'Islam."