Testata: CORRIERE DELLA SERA
di Susanna Wermelinger

Guerra, aeroporti e sicurezza.

Caro Beppe,
diciamolo: il Paese è proprio un paese. A volte imbarazzante, neppure tanto 'bel' paese. Domenica mattina parto per lavoro da Milano, destinazione Madrid. Cerco di espellere dalla mia mente che in spagnolo il punto d'arrivo di un volo lo chiamano 'destino final'. Suona sinistro. Ammetto con me stessa, in taxi, doverosamente in anticipo, che nonostante il mio fatalismo il vento di guerra mi ha contagiata. E potevano anche non mandarmi proprio a Madrid. Leggo sui giornali che ci sono misure di sicurezza eccezionali sugli aereoporti, in particolare Fiumicino e Malpensa. Forse anche posti di blocco lungo le vie d'accesso. Immagino perquisizioni lunghe e attente, in fondo siamo un Paese in guerra a metà e sto andando in un Paese che in guerra è davvero.
Non c'è l'ombra di un posto di blocco nella mattina di sole primaverile che mi scorre davanti lungo il raccordo per Malpensa. Ma ecco il segnale che sono molto protetta: ci sono tutti gli ingressi esterni chiusi, all'aereoporto. Va da sè, che l'unico aperto è intasato da impavidi vacanzieri, giapponesi pieni di bagagli, gente già pronta per mari caraibici in zoccoli, zaini, valigie (di chi?), borsoni. Tutti si pressano all'ingresso e tutti passano. Voglio dire, a nessuno è venuto in mente di far accedere all'aereoporto solo chi ha davvero un biglietto e deve entrare. Sorveglianza, zero.
Faccio il check in, mi avvio verso il metal detector. Intanto che la mia borsa a mano (unico bagaglio) viene ingoiata dall'apparecchio, mi do della cretina. Ho messo via una lima per le unghie, lunghina ed affilata, similissima a un coltello. Perché, mi dico, visto che oltretutto le unghie me le mangio? Gli addetti alla sicurezza stanno raccontandosi facezie su Milan-Juventus della sera prima. Estraniata dalla conversazione (sono interista) aspetto che mi espellano dalla scalo, mi sequestrino il bagaglio, mi privino del passaporto (dimenticavo, sono svizzera, quindi extracomunitaria. Ben vero che non ho tratti arabi e somiglio di più a Heidi, quella a cui sorridono i monti, ma insomma, la legge è la stessa).
Invece no. Passo io, la borsa, la lima.
Madrid, due giorni dopo. Stessa scena, ma questa volta, certa che la sorveglianza spagnola sia più efficente della nostra, lascio appositamente la lima in borsa. Mi preoccupa solo un po' il fatto che da queste parti la polizia va meno per il sottile.
Invece no. Passo io, la borsa, la lima.
Alle ventidue a Malpensa dove atterro non c'è nessuno. Mi avvio disciplinata verso un controllo documenti che non c'è (che è accaduto, li hanno sequestrati o sono tutti a vedere la "Domenica Sportiva"?), passo l'uscita intanto che quattro addetti alla sorveglianza scherzano con una collega (sottolineo: due erano in divisa, gli altri due muniti di un pass), esco. Potrei essere chiunque e con qualunque bagaglio.
Sul piazzale dell'aereoporto tiro un sospiro di sollievo. Almeno ne sono fuori dall'obbiettivo a rischio.
Mi avvio a casa, per la serie pericolo scampato, dove accendo la televisione. Decine di colleghe (faccio anch'io la giornalista) raccontano storie di bombe, perfettamente patinate e pettinate. Faccio zapping. L'unica rete che mi trasmette un servizio davvero intenso è La 7. Firmato da una collega che non conosco, ma vorrei che qualcuno sapesse che è davvero degna di nota. Ortensia Visconti, si chiama. Allora, la guerra c'è davvero. in aereoporto, me n'ero quasi scordata.