Testata: Il Messaggero
Data: 30-11-2001

Autore: Ortensia Visconti

Primo Piano - Afghanistan
Ma non osano togliersi il burqua

Kabul- La seconda manifestazione per i diritti delle donne in Afghanistan è "implosa" nella casa della sua organizzatrice, Soraya Parlika. Come la scorsa settimana, la polizia ha impedito la marcia dichiarandola vietata "per ragioni di sicurezza".
Alle 8, le donne hanno cominciato ad arrivare nel quartiere di Macro Rjan, il luogo stabilito per l'appuntamento. Gradualmente, la casa di Soraya si è affollata di burqua blu, che le ragazze tenevano sollevati sopra la faccia. Dopo un'ora, non c'era spazio per respirare. "Almeno adesso possiamo riunirci e riconoscerci. Prima non avevamo contatti tra di noi", dice Kandigul, una donna che è venuta sperando di trovare lavoro.
Soraya Paqrlika ha lottato tutta la vita per consentire alle donne afgane di vivere libere nel proprio paese. "Non ho mai avuto il tempo si sposarmi - dice. Nel '65, quando sono arrivati i russi, ero già in prigione da un anno e mezzo perché presidente dell'organizzazione "Donne Democratiche per l'Afghanistan". Sono stata torturata con scariche elettriche su tutto il corpo, e mi spegnevano le sigarette sulle braccia.  Dal '92 al '96 abbiamo sofferto e sperato che i mujaheddin smettessero di combattere. Poi i Talebani: non dimenticherò mai quello che ci hanno fatto. Venivano nel quartiere a prendersi le ragazzine per portarle via. Ce n'era una bellissima: quando ha saputo che la cercavano si è buttata dal sesto piano del suo palazzo."
Dopo essersi occupata del coordinamento per l'insegnamento clandestino alle bambine durante il regime talebano, oggi Soraya combatte le restrizioni imposte alle donne dalla tradizione. "La sola differenza è che i talebani le imponevano con la forza. Ma basta guardarle, ancora nessuna ha avuto il coraggio di togliere il burqua."
Il maggiore Suhaila, la donna con il grado militare più elevato nel paese, il burqua non l'ha mai indossato: "I Talebani mi facevano pressione, ma io ne facevo a loro. Ragionavo con teorie islamiche che non potevano contestare. L'Islam è una grande religione e ho tentato di ricordarglielo. Quando al Profeta è stato chiesto: "Chi rispetti?", lui ha risposto "la madre". Non hanno osato picchiarmi. Ma io non sono fiera di essermi battuta contro di loro: era il mio dovere. Ho mandato avanti la clinica." Grazie al maggiore Suhaila, che è chirurgo e indossa una divisa militare, durante il regime talebano le donne medico hanno potuto continuare a lavorare e gli uomini sono stati autorizzati a operare donne in pericolo di vita: "Nessuno mi obbliga a fare niente. Io curavo tutti, uomini e donne. Ma ero la sola donna chirurgo per cui ho inposto ai dottori di operare quando io non potevo. Io non ho mai indossato il burqua, ma tutti gli uomini del paese avevano le barbe nere che gli coprivano la faccia."
Anche il maggiore, che ha 60 anni, ha deciso di non sposarsi. "Non avevo bisogno di un capo", dice. La gente sussurra che oltre ad amare il buon whiskey, una volta ha schiaffeggiato un talebano che le aveva tolto la sigaretta dalle labbra.
Jameela Mujahed, la voce di radio Kabul, invece un marito ce l'ha. E' un professore universitario e dopo vent'anni di matrimonio la guarda con occhi luminosi di ammirazione. "I Talebani erano appena partiti, erano a pochi chilometri da Kabul e io già parlavo alla radio - racconta Jameela - Potevano anche tornare indietro e punirmi. In questo paese succede tutto così in fretta".
E' questione di tempo, quindi, e di donne come queste. Alla domanda "Hai mai pensato di lasciare il paese?", il maggiore Suhaila ha risposto senza esitazioni:  "Se qualcuno è impaziente non può combattere e vincere."