Testata: Il Messaggero
Data: 22-11-2001

Autore: Ortensia Visconti

Primo Piano - Caccia a Osama
"Il dietrofront dei Talebani sulle statue di Bamyan: trovate le carte a Kabul."

Kabul- Era il 21 marzo di quest'anno. Le due maestose statue dei Buddah di Bamyan avevano resistito a lungo al fanatismo islamico, prima di crollare in un cumulo di macerie. Dopo diversi tentativi con i missili anti-carro, i Talebani erano dovuti ricorrere alla dinamite. Il mondo assisteva impotente e esterrefatto, davanti all'assurdità della decisione del regime talebano. Eppure solo due anni prima, il mullah Mohammed Omar, leader dei Talebani aveva ordinato che l'eredità afgana dei Buddah di Bamyan fosse "conservata con rispetto, come potenziale attrazione per il turismo". Poi il 26 febbraio di quest'anno l'improvvisa contraddizione: le statue dovevano essere ditrutte perché idoli degli infedeli, così come tutte le altre rappresentazioni religiose del paese. Una spiegazione di questa decisione, che era sembrata stranamente irremovibile, è rimasta in una casa di Al Quaeda, a Kabul, tra le pagine scritte in arabo di alcuni documenti lasciati indietro nella fuga dei terroristi.
Sono appunti presi durante una riunione tenutasi nell'anno islamico 1421, a cavallo tra il 2000 e 2001. Il consiglio, a cui hanno partecipato diversi rappresentanti di gruppi islamici nel mondo, si è riunito per discutere della distruzione delle statue dei Buddah e di quelle del museo di Kabul. Gli unici assenti erano i Talebani. Secondo i documenti, dopo aver preso una decisione il consiglio ha inviato una delegazione del Movimento Islamico a Kandahar, per discutere l'argomento con i Talebani. Era il 14 febbraio. Il seguito degli appunti mostra che in un primo momento le autorità talebane si sono mostrate reticenti al progetto. Pur essendo d’accordo sul fatto che le statue scolpite per le preghiere degli infedeli fossero contro la cultura e gli insegnamenti islamici, gli afgani hanno cercato di prendere tempo. I Talebani sostenevano che "prima di essere distrutte, tutte le statue dovevano essere raccolte in un unico posto", poi si sarebbe deciso cosa farne. In particolare, le loro obiezioni riguardavano l'enorme valore storico dei Buddah, che oltre ad esistere da 1600 anni, erano alte 53 e 61 metri e intagliate nella roccia dell'intero lato di una montagna. Solo in un secondo momento, forse sotto la pressione del consiglio internazionale, il dipartimento di informazione e cultura di Kandahar ha dichiarato che la distruzione delle statue è un "atto religioso che può rendere felice tutto il mondo islamico." Durante uno degli ultimi incontri, un membro del consiglio ha letto la dichiarazione dell'ambasciatore italiano in Pakistan, secondo il quale il progetto rappresentava "la più grande tragedia per gli afgani e per il mondo." Inoltre qualcuno ha parlato dell'offerta di una delegazione internazionale per la salvaguardia delle statue. Dopo un'iniziale indignazione di alcuni mullah afgani che partecipavano al congresso ("Invece di darci i soldi per le statue, perché non aiutano i nostri bambini che muoiono di malnutrizione a causa delle loro sanzioni economiche?"), la decisione è stata presa. Per eliminare ogni dubbio residuo è stato dichiarato che "anche se del quinto secolo, sono solo rocce e fango, e a noi non interessano." I documenti ritrovati dimostrano che il problema del fanatismo talebano non è arginabile, ma è solo una goccia nell'oceano del mondo islamico organizzato. Pur essendosene presi tutta la responsabilità, i Talebani non hanno agito da soli, ma solo eseguito quello che consideravano un grande affronto al mondo occidentale. Peccato per i Buddah di Bamyan che per quasi due millenni avevano assistito indisturbati ai traffici della valle in cui passava la rotta tra la Cina e l'India, in una parte dell'Asia in cui le lingue e le religioni -buddismo, induismo e in seguito l'islam- coesistevano. Peccato, soprattutto se si legge questo passo del Corano: "Io non venero il tuo dio, né tu preghi il mio. Tu hai la tua religione e io la mia."