Testata: Il Messaggero
Data: 29-11-2001

Autore: Ortensia Visconti

Primo Piano - Diplomazia
"Protestano gli intellettuali: a Kabul non si sentono rappresentati."

Kabul- L'università è ancora chiusa. Faizullah Jalal, professore di scienze politiche e relazioni internazionali, siede su una panchina, tra i cespugli incolti del campus. Ricorda i tempi difficili in cui i Talebani non lo lasciavano insegnare liberamente, gli studenti "spia" che una volta l'hanno fatto finire in prigione accusandolo di parole mai pronunciate, e rimane calmo, parla lentamente, fino a quando non menziona la conferenza di Bonn: "L'università di Kabul ha sofferto i Talebani in modo particolare. Ma nessuno ci ha contattato; né le Nazioni Unite, né il governo, nessuno! Hanno ignorato 370 professori universitari. Pensano che non ci siano accademici, in Afghanistan. Qualcuno del settore educativo deve partecipare all'incontro!"
L'incontro di Bonn è stato organizzato per aiutare l'Afghanistan a lasciarsi alle spalle un passato di lotte tribali e a formare un governo che rappresenti ogni etnia, tribù, gruppo sociale. Ma molti afgani - professori, accademici, donne e altri - contestano l'esclusione di parti significative della popolazione dalla coalizione che probabilmente deciderà del futuro del paese. "Non ci sono intellettuali", dice Said Mujahed, professore di storia dell'Accademia di Scienze Sociali, "a parte il re Zahir, ci sono solo militari, gli stessi che da anni portano avanti solo guerre. Chi rappresenta la gente comune? Siamo stanchi, soffriamo da troppo tempo."
Per gli esclusi, quello che verrà deciso rappresenterebbe un'imposizione. "Sarebbe un governo per meno del 50 per cento della popolazione", dice Soraya Parlika, un'attivista per i diritti delle donne, "chiaramente una violazione dei diritti umani. Le donne in Afghanistan sono il 60 per cento della popolazione. Solo a Kabul ci sono 50 mila vedove. Se non possiamo tutelarci da sole nessun altro lo farà per noi."
Prima del regime talebano, in Afghanistan le donne rappresentavano il 70 per cento della forza insegnante, la metà degli impiegati statali, il 40 per cento dei medici. Erano avvocati, dottori, giornaliste; e volontarie nelle organizzazioni umanitarie. Sabato scorso il portavoce delle Nazioni Unite, Eric Falt, ha dichiarato: "Le donne hanno un ruolo centrale nel futuro dell'Afghanistan. L'incontro di Bonn dimostrerà quanto i nostri incoraggiamenti per farle partecipare sono stati ascoltati".
E in effetti Amina Afzeli, leader dell'Unione Mussulmani in Afghanistan e Kamun Balkhi, una personalità locale, sono state precipitosamente inserite nella lista del gruppo dell'Alleanza del Nord. "Non cambia molto", dice Rayhna Sadet, un'insegnante, "anche se volessero usarle, le loro voci non sarebbero ascoltate da un gruppo di militari."
Un'altra decisione contestata dagli esclusi, è la partecipazione agli incontri di molti afgani che vivono esiliati in paesi stranieri. "La presenza di donne afgane è necessaria", dice Parlika "Le donne che vivono nei paesi occidentali possono solo dire che un proiettile uccide. Noi esprimiamo con i nostri occhi, con il corpo e la voce quello che abbiamo passato."
Anche il professor Jalal è convinto che l'invito agli esiliati sia un errore: "Gli afgani che vivono all'estero hanno mentalità occidentali. Non troveranno mai un accordo che sia giusto per noi. La gente è pessimista si quest'incontro. Siamo ansiosi di vedere cosa succederà, ma non ci aspettiamo risultati molto positivi." E come il professore, il ministro degli esteri dell'Alleanza Abdullah Abdullah non si lascia prendere da facili entusiasmi: "Non dobbiamo avere grandi aspettative. Siamo in un periodo di transizione. Questa guerra dura da troppi anni per sperare di risolverla in un incontro. Sarà significativo, ma non decisivo."