Testata: Vanity Fair
Data: 10 giugno 2004

ORTENSIA, GUERRA E PACE.

ORTENSIA VISCONTI IL COGNOME E' QUELLO DEL PROZIO LUCHINO. LA CASA E IL PALAZZO DI UN NOBILE ANTENATO. I SUOI OCCHI HANNO STREGATO PERSINO MICK JAGGER. MA ALLA CONTESSINA PIU' CHE ANIMARE PARTY, INTERESSA ANDARE A FOTOGRAFARE GLI ORRORI IN AFGHANISTAN E IRAQ. E SCRIVERE IL SUO PRIMO LIBRO, L'INSOLITA CRIME STORY DI UN MUSSULMANO SOTTO ACCUSA TRA LE RISAIE DEL PAVESE.
Testo di Enrica Brocardo - foto alberto Conti

Hanno tentato di fermarci sotto la minaccia dei kalashnikov. Ho gridato all'autista: "vai, vai, vai non ti fermare". Su quella stessa strada erano stati uccisi Maria Grazia Cutuli e altri tre giornalisti in viaggio verso Kabul. Quando Ortensia visconti, 31 anni, incontra i guerriglieri non lo sa ancora: "E' stata una questione di intuito". A quei tempi, nel 2001, lavorava in iraq come fotoreporter per il Washington Post. Quando, come in queste settimane, non è in giro per il mondo, vive a Roma, vicino a piazza di Spagna, nel palazzo costruito nell'ottocento da un antenato. Il busto di marmo del nonno, Emanuele Ruspoli, è alle spalle di Ortensia. Il cognome Visconti è quello del regista Luchino, lo zio di suo padre.
A lavorare come fotografa ha iniziato nel 2000, in Israele, durante l'Intifada, poi è stata in Algeria, Pakistan, Afghanistan e Iraq. Ma non parla di guerra il suo libro, che l'editore Fazi manda in libreria il 4 giugno: Stregonesco è un giallo, pieno di mistero e di magia nera. Il primo romanzo, anche se nel cassetto (letteralmente) ne ha altri quattro.
Stregonesco è ambientato in Lomellina, perché?
C'è la casa di famiglia. E' la zona dove sono cresciuta, un posto fermo nel tempo, malinconico, misterioso, curioso anche. Mio padre ha vissuti lì gli ultimi anni, è morto nel 1995. Era un regista, un bravo regista ed è stato il mio primo lettore.
E di Luchino Visconti ha dei ricordi?
E' morto che io ero piccola. Ho l'immagine di un signore su una sedia a rotelle, severo. Somigliava a mio nonno, a mio padre: burberi ma ricchi di umanità.
Aiuta avere un parente così?
Ricordo un giorno, a Parigi, ero un po' depressa. Accendo la tv e c'è un'intervista a Luchino: aveva una tale forza, una tale intelligenza, un tale fascino,  che mi sono detta: "Triste io? No, io sono la nipote di quello lì, al diavolo i problemi."
E discendere non da una ma da due famiglie aristocratiche?
Sono stata fortunata. Ho avuto intorno persone intelligenti, belle. E' la mia famiglia, per me è normale. Però, è come se avessi qualcosa da farmi perdonare.
La guerra: perché non c'è nel libro?
Sarà l'argomento del mio prossimo romanzo. La cosa pazzesca è che in quelle situazioni per sdrammatizzare ridi, per cui ricordo momenti divertenti.
Per esempio?
In Iraq, erano settimane che non riuscivo a lavarmi. Allora ho supplicato i soldati inglesi di farmi fare una doccia, di quelle da campo, all'aperto. Avevo appena cominciato quando passa un convoglio, decine di tanks. "E adesso?", ho pensato. Poi mi sono resa conto che non c'era niente da fare: "Rimango qua, almeno li faccio divertire un po'."
E Paura?
In Israele, la mattina dopo dovevo fare il primo giro in zona di guerra. Mi accorgo che c'è un'ape nella stanza. Ho il terrore delle api: mi tremavano le mani e pensavo: "Tu domani credi di poter andare in un posto dove sparano?" E invece il giorno dopo ero lucidissima. La paura è uno stato d'animo.
Hai mai rischiato il peggio?
In Iraq. Non ti potevi fermare, sennò ti sparavano addosso. Al terzo giorno abbiamo finito la benzina, lo so, è ridicolo in una terra piena di petrolio, ma le pompe erano tutte rotte. Una notte supplichiamo i soldati inglesi di proteggerci per dormire un po'. Dopo un'ora siamo attaccati da una banda di iracheni. C'era la luna, vedevo i volti terrorizzati dei soldati, erano ragazzini, erano pochi, solo sei o sette.
Ricorda che cosa pensava?
A mia mamma: "Che stronza, le vado a morire qui".
E quando si capisce che il pericolo è scampato?
Adrenalina. Una sensazione fortissima, anche bellissima.
Poi si torna a casa.
Per due mesi sogno i morti. Mi sento disadattata. Vedere le mie amiche che fanno shopping... All'inizio sono indignata. Poi mi riabituo e vado anch'io.
A casa si fa chiamare contessa?
Macché...
Vedere gli antenati nei musei deve fare effetto.
Sembrano così brutti, nei quadri. Spero di non assomigliarci.
Ma la tentazione di fare cinema, come Luchino, come suo padre Eriprando, le è mai venuta?
Forse potrei scrivere sceneggiature. L'attrice no, sono troppo timida.
Il film di Luchino Visconti che ama di più?
Senso, perché c'è il mio papà che fa una piccola parte.
E fra quelli di suo padre?
Una storia milanese, il primo. Nel 68', racconta di una donna borghese che va in Svizzera per abortire. Era avanti con i tempi...
Oltre ai parenti, ha avuto un fidanzato illustre: Mick Jagger.
Siamo rimasti amici. Di più non dico. Trovo poco elegante parlare di lui, è troppo famoso.
Helmut Berger, l’attore che ebbe una lunga relazione con Luchino Visconti, ha avuto anche un'avventura con Bianca, la prima moglie di Mick Jagger. In certi ambienti, alla fine, ci si conosce tutti?
Una promiscuità assoluta!! No, io Mick l'ho conosciuto per caso. Non frequento quel tipo di ambienti, o almeno, non solo.
Hai mai indossato il burqua?
Sì, da un gran mal di testa. Ti stringe. L'ho messo una volta, per intervistare un mullah, in Pakistan: è il paese più difficile per una donna. Nessuno mi guardava negli occhi, per comunicare con me parlavano con il mio autista. Ero una straniera, come dire una puttana. Ho capito che il fatto di "non esistere" ti mina la personalità. Eppure ho conosciuto donne che hanno saputo reagire. Tostissime.
E' stata la sua esperienza in quelle guerre ad ispirarle il protagonista del romanzo?
No, stavo camminando a Roma e ho visto un ragazzo che vendeva caldarroste, un immigrato. Mi sono immaginata che vita dura doveva fare. Così è venuta fuori la storia di Abdessalam, undici anni, adottato in Italia, accusato di omicidio.
E un personaggio che invece somiglia a lei?
La bambina che cerca i fantasmi. Anch'io li cercavo da piccola. Volevo incontrarli. Ma non te li posso raccontare, passerei per visionaria.
Il suo obbiettivo come scrittrice?
Migliorare. Scrivo da quando avevo dieci anni. Il primo racconto l'ho finito a quattordici, s'intitola Dorotea e la luna. Mio papà lo ha fatto stampare e me lo ha regalato, è uno dei ricordi più carino che ho. La cosa pazzesca è che dentro ci trovi in embrione tutta la mia vita errante. Forse è nel dna. Nella mia famiglia ci sono stati molti guerrieri.
Guerriera anche lei?
Guerriera pacifista.
Quale è stata la foto più difficile da fare?
Il giorno della presa di Kabul. Non avevo mai visto tanti morti. Mi veniva da piangere, da vomitare. E poi, nell'ospedale di Bassora, dopo le bombe americane. C'erano pezzi di bambini. E' stata l'unica volta che mi sono rifiutata di scattare.
Non le è mai venuto l'impulso di mollare la macchina fotografica e di dare una mano?
A Bassora, un uomo insanguinato ha cercato di fermare la macchina, ci chiedeva di portarlo via, lo stavano inseguendo. Ho urlato "Ferma!", ma il mio collega, con molta più esperienza di me, ha accelerato. "Sei uno stronzo", gli ho gridato. Lui mi ha detto: "Devi decidere se aiutare o documentare quello che vedi. Altrimenti metti in pericolo la tua vita e quella degli altri."
Come ti cambia un'esperienza del genere?

Ti rimane una malinconia di fondo. Qualche mese dopo il mio rientro dall'Iraq sono andata al mare, c'erano i fuochi d'artifico. Quel rumore mi ha riportato ad altri rumori. E ho pianto.