Testata: Il Messaggero
Data: 19-11-2001

Autore: Ortensia Visconti

Primo Piano - Afghanistan
Donne col mitra cacciano i Talebani

Kabul- Kalakuya è un villaggio a pochi chilometri a nord di Kabul. Per quattro volte è caduto in mano ai Talebani.. Prima per otto mesi, poi per venticinque giorni, infine per una settimana. L'ultima volta, i terroristi sono rimati solo per cinque ore. Gli uomini erano sulle montagne, preparavano un'offensiva. Le donne, impaurite e arrabbiate, hanno impugnato i Kalashnikov che i mariti avevano nascosti in casa e insieme ai loro figli hanno aperto il fuoco sul nemico.
Oggi è un villaggio semi-abbandonato. Per settimane i B52 americani sono passati alti in cielo e le bombe, che esplodevano sul fronte poco lontano, alzavano grandi nuvole di una polvere fina che s'insinua ovunque. La gente sta tornando poco a poco, dopo essersi rifugiata in uno dei tanti campi profughi che affollano le pianure desertiche dei dintorni.
Wazir Khan è il capo e il comandante militare del villaggio: "Quando i Talebani hanno rotto il fronte, l'ultima volta, noi ci siamo ritirati per contrattaccare. Le donne sono rimaste sole. I Talebani hanno cercato di insinuarsi nel villaggio e loro si sono dovute difendere. Sparavano dai tetti delle case e urlavano che i Mujaheddin stavano tornando per ucciderli. Quando siamo arrivati, dall'alto ci indicavano i nascondigli dei nemici. Ne abbiamo uccisi molti. C'erano tanti stranieri: arabi e pakistani. I corpi degli stranieri valgono di più, li abbiamo rivenduti al chilo. Per due cadaveri hanno pagato 120mila rupie pakistane."
Un burqua blu cielo passa rapido e silenzioso dietro gli uomini che si sono riuniti accanto a Wazir. La donna solleva il vestito con una mano giovane, dalle unghie tinte di henna. Da dietro, la stoffa ondeggia tra le pieghe a fisarmonica. "Io so sparare, mi ha insegnato mio marito", racconta Hanifa, che ha 30 anni. "Tutti sanno sparare qui, anche i bambini piccoli. Sentivo le deflagrazioni dei kalashnikov venire dai tetti vicini. C'era mia cugina, su quel tetto - indica una casa poco lontano- e tutt'intorno sono vicine e parenti. E' normale che gli abbiamo sparato. Se potessimo li bruceremmo vivi."
E pochi chilometri più a sud, sulla strada per l'aeropoto di Bagram, il corpo senza vita di un talebano pakistano è stato bruciato dai cittadini il giorno della presa di Kabul. Hanno incendiato una coperta e gliela hanno buttata addosso. Dopo cinque giorni, il cadavere è ancora abbandonato sul ciglio della strada. "Nessuno ha il diritto di spostarlo", dice Ahkmar Murtar, un mujaheddin. "Sono venuti nel nostro paese per farci violenza. Ora lo lasciamo lì per le bestie, servirà a fertilizzare la terra."
In modo meno estremo anche a Ghazni, una città cento chilometri a sud di Kabul, la gente si è liberata degli invasori senza l'aiuto dei soldati dell'Alleanza del Nord. In seguito alla presa della capitale, i cittadini hanno cominciato una rissa con alcuni talebani davanti alla stazione di polizia. "Dopo che ne abbiamo picchiati due i Talebani si sono sentiti in pericolo e se ne sono andati", dice Abdul Karim, un autista del ministero della Difesa. "Alcuni cercavano di raggiungere Kandahar, ma sono stati bloccati al bazar e la gente ha picchiato anche loro". Jalalabad è la capitale della provincia di Nangharar, ed è di maggioranza pashtun, l'etnia dei Talebani. Quelli che non hanno cambiato bandiera accorciandosi le barbe precipitosamente, sono fuggiti in Pakistan, che è a soli cinquanta chilometri dalla città. Mohammed Auyob, un mujaheddin esiliato a Karachi da '96, racconta di averli incontrati mentre fuggivano: "Noi entravamo in Afghanistan, loro ne uscivano. C'è stato uno scontro a fuoco. Quattro arabi sono rimasti uccisi. Ma qui in città non c'è stata guerriglia. Sono venuto per combatterli ma erano scappati tutti."