Testata: L'Indipendente
Data: 17-08-2004

Autore: Ortensia Visconti

Diario da Kabul 3
Appuntamento all'Inferno
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E' buio. Gli uomini di Satar, un miliziano che collabora con l'esercito americano per combattere i talebani, sono seduti nel cortile di una casa di fango. Le divise mimetiche dei militari statunitensi risaltano nell'oscurità, come le braci degli spinelli degli afghani che si accendono a intervalli regolari spandendo un denso odore di fumo. Il comandante Peterson, delle truppe Alpha, fa un gesto spazientito: "Se i tuoi uomini si vogliono fumare le canne se ne vanno altrove, o scaricano i Kalashnikov da qualche parte." Satar fa un ghigno, io non lo vedo, ma Satar se la ride sempre, pure quando gli dicono che c'è una taglia sulla sua testa: "Quest'uomo è venuto a piedi da Parle, il distretto in cui i talebani vi hanno teso l'imboscata." Dice. "Si è fatto tre ore di cammino per venirmi a dire che mi vogliono ammazzare. Hanno ricevuto rinforzi dal Pakistan, sono almeno cento. E stanno aspettando anche voi." Il fratello di Satar è stato ucciso dai talebani due mesi fa e lui, insieme a altri uomini con storie simili, ha istituito una milizia disordinata ma coraggiosa, considerando che uno di loro impugna un fucile Martini del 1885.  "Senza il vostro aiuto e le vostre armi non ce la faremo." Continua, rivolto a Peterson, che risponde con la cadenza musicale del suo accento Hawaiano: "Ok, ma se continuate a contare su di noi, quando ce ne andremo chi li ostacolerà? Non possiamo restare qui per sempre." Intanto riflette, il comandante. Lo so perché me ne parla dopo. Trenta i suoi uomini più quelli di Satar, contro il centinaio di talebani di cui parlano, armati di lanciagranate, mortai e AK47. Con una chiamata radio il supporto aereo arriva da Kandahar in venti minuti. Ma in venti minuti può succedere di tutto. Gli sembra una follia. E pure a me. Una specie di appuntamento all'inferno tra le montagne afghane. Si avverte la tensione, mentre l'interprete sussurra nell'orecchio del sergente Schooch che la mattina seguente dovranno arrestare uno della milizia perché è spia dei Talebani: "Gli ha detto tutto, pure che con voi c'è una donna." L'informazione mi innervosisce non poco, mentre Schooch sembra imperturbabile. "Mi sono cambiato i calzini, lavato i denti e sono pronto.", dice con il tono più serio che gli abbia sentito. Lui appartiene alla Long Range Surveilance Division, la cui specialità è inseguire il nemico al suolo e se necessario restare senza supporto fino a settantadue ore. "Sono pronto a morire combattendo," continua "l'unica cosa che non vorrei è saltare su una mina."
Tornati ai veicoli ci prepariamo per la notte. Io, perché gli altri sono radunati intorno al comandante e pianificano il loro arrivo nel luogo dell'ultima imboscata. C'è poco da pianificare: mezzi ingombranti in convoglio, strada sterrata montana con precipizio laterale, impossibilità di fuga o di manovra. Come c'è poco da prepararsi per la notte: niente acqua per lavarsi, giaciglio in posizione eretta su sedile posteriore limitato da infinite scatole di metallo contenenti munizioni... Spolvero un po' i vestiti, mi spazzolo i capelli bianchi di terra, mentre ascolto le varie opzioni d'attacco dei ragazzi ... e d'un tratto m'accorgo che stanno giocando. L'eccitazione è palpabile. La previsione del pericolo li diverte da morire per non parlare di quando impugneranno le armi per sparare al nemico, che nei discorsi diventa un bastardo, figlio di ... diventa nemico. Anch'io, realizzo, farò fatica a dormire e mi sento la prova vivente del fatto che una donna può vivere le stesse esperienze di un uomo, allo stesso livello... Se ne ha voglia. Il problema è un altro: perché mi va? La voce di Gordon, un ragazzone di quelli che fanno ridere sempre, mi distoglie dalla domanda imbarazzante: "Se ci sparano col lanciagranate 3 non penetrano il blindato, ma col 7 sì. E poi c'è il tetto, che non è protetto. In quel caso finiamo carbonizzati."
Il capitano si siede al posto di comando, il sedile di fronte al mio, e si mette a armeggiare con i computer, le radio che lo tengono in contatto continuo con la base, i messsaggi che appaiono in continuazione sullo schermo. "Perché vi piace?", gli chiedo e gli credo quando mi dice che la guerra la sa far bene, che la fa per il suo paese, per la sua famiglia. E' eccitato all'idea che tra un paio di giorni arriverà il resto della sua Unità; a soli trentadue anni è responsabile della vita di ottanta soldati e ci può giocare. "E' come... è come essere un direttore d'orchestra", afferma convinto "Potrò dirigere operazioni simultanee, e li faremo fuori, i Talebani... sono stanco di vedere questa gente che soffre, che ha paura." Continua a parlare, comincio a sentire le sue parole isolate dal silenzio della notte, fin quando mi addormento.
La partenza è emozionante. Satar e i suoi uomini precedono il convoglio su dei pick-up; qualcuno si fa sfuggire quello che abbiamo pensato tutti, compreso Satar: se c'è una mina se la beccano loro. Ma Satar è uno che non ha paura: ride, e aspetta il suo momento.
Il convoglio si arrampica sulla strada sterrata, attraversa villaggi di fango in cui ci sono solo i bambini a fare ciao con la mano, costeggia meravigliosi campi di oppio con i papaveri rosa fioriti. Una capra si fa una scorpacciata di marijuana con la testa e le zampe anteriori inghiottite dal cespuglio. Dopo due ore e mezza ci fermiamo. "Prova di fuoco", grida qualcuno e cominciano a scaricare chili di piombo sul versante opposto della vallata. "E' come suonare il campanello dei talebani", dice Runkhe, al volante, "Il posto è qua dietro, se ci aspettano ci stanno sentendo." Per me li sentono pure a Kabul. Sono pronta. Speriamo bene. Ci avviciniamo alla gola dell'imboscata e le braccia tatuate si tendono, scattano le sicure delle armi... il comandante ordina: "Musica!", e un disco di hard rock copre il silenzio.

Box. E i papaveri sono sempre più alti.

Dal 2001 la produzione di oppio in Afghanistan è aumentata in modo considerevole. La politica religiosa dei Talebani negli ultimi anni ne aveva limitato notevolmente la coltivazione, ma dalla caduta del regime gli agricoltori hanno approfittato del caos e della mancanza di controlli per far fiorire i loro campi. Secondo una stima delle Nazioni Unite l'Afghanistan ha prodotto tre-quarti dell'oppio nel mondo lo scorso anno, per un valore di 2.3 bilioni di dollari, più della metà del prodotto nazionale.
La nuova lotta alla droga comprende un team di uomini bene addestrati che collaborano con consulenti britannici per sconfiggere il traffico illegale. In una conferenza stampa, a Kabul, Donald Rumsfeld ha recentemente affrontato il problema: "E' una cosa molto pericolosa. Si dovrà stabilire una cooperazione serrata tra il governo afghano, la comunità internaziolnale e gli Stati Uniti." Il comandante Ahmad Khalid, capo dell'antidroga a Jalalabad, afferma che i suoi uomini: "... sono pronti per il confronto con i narcotrafficanti."
La campagna per sradicare la produzione di cocaina in Colombia è costata 3.3 bilioni di dollari, molta cooperazione tra i paesi e altrettanto lavoro di spionaggio che ha portato all'arresto di 120 narcotrafficanti in due anni. Oggi il prezzo della cocaina è immutato, segno che non c'è carenza, e il programma di diserbo dei campi colombiani ha sollevato pesanti critiche da parte di vari gruppi ambientalisti.