Testata: L'Indipendente
Data: 18-08-2004

Autore: Ortensia Visconti

Diario da Kabul 4
"Come in Vietnam: sorrisi e raffiche"
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I talebani scappano.
La delusione dei ragazzi delle truppe Alpha è palpabile: "Ma dove cazzo vanno?" Allargano le braccia, si passano i binocoli per intravedere la cima di un turbante scomparire dietro una roccia, lontano. Una fuga a ventaglio, come quella di animali selvatici dispersi dal volo di un aliante. Gli elicotteri dell'esercito americano sovrastano le montagne impotenti, inutili mosconi senza un obbiettivo preciso. Frustrazione. Un vecchio arriva tremante da una casa vicina: usa i nipoti di una decina d'anni come bastoni su cui appoggia le lunghe braccia gracili: "Non abbiamo più armi in casa" dice "Mio figlio era un talebano, ma ora è a casa disarmato. Per favore, non venite  a disturbarci." La casa in realtà e quella di Abdul Hamid, tra i primi dieci nomi nella lista dei talebani più ricercati dalle forze di coalizione. Il figlio rimasto a casa, scopriremo, è il fratello di Abdul che ancora corre tra le rocce. La sorella in una società più equilibrata sarebbe un boss mafioso o comunque ne terrebbe molti sotto controllo: "Lasciate in pace la mia famiglia!", grida, mentre tenta di nascondere la faccia e se stessa sotto un tessuto verde, che sfugge alla sua foga. Colgo la luce dei suoi occhi in una foto e quasi butto per terra la macchina, spaventata. C'è qualcosa di falso nelle sue grida, nelle lacrime del vecchio, nelle espressioni innocenti dei ragazzini. Satar, un miliziano che collabora con gli americani, li conosce e non sembra troppo allarmato. Se la ride, come sempre. Succhia il pappone di tabacco e marijuana e sputa. "Va bene", dice "Adesso noi arrestiamo tuo figlio. Se poi ci racconta dove sono le armi o dove è Abdul lo lasciamo andare." Il capitano Peterson, comandante delle truppe Alpha, tira Satar da una parte: "Ma che dici! Dove lo portiamo adesso? Che ha fatto? Perché arrestarlo?" Satar ghigna: "Da nessuna parte. Gli sto solo mettendo paura. Lo teniamo un po' con noi e poi lo lasciamo andare." L'oscurità ci coglie con niente di risolto, tranne il posizionamento strategico dei veicoli HUMVEE. Dopo un paio d'ore la luna illumina la pianura circondata da una corona di montagne, si sentono i primi soldati russare, il comandante scompare e la radio si affolla di voci allarmate. Avvicino l'orecchio ma tutto quello che riesco a capire è che c'è un problema, e che cercano di risolverlo parlando piano. Qualcuno si avvicina e chiedo: "Chi è?". Peterson: "Sono io." "Tutto  a posto?" "Sì, tranne che sette uomini armati stanno per attaccarci." Good. Tento di trasmettere tranquillità al nostro comandante. Non vorrei si sentisse troppo responsabile per i reporters: che sono due. L'altro è completamente ignaro; avvolto nel sacco a pelo russa come un cosacco e tutto quello che accadrà nella notte movimentata gli sarà raccontato al mattino. Ore 5 e 45 Zulu time (orario militare, quattro ore e mezza in meno): si sentono grida collettive provenire dalla foresta; ricordano i versi di protesta delle donne algerine, come nella "Battaglia di Algeri" di Pontecorvo. Ore 6 e 01 zulu: i ragazzi della Long Distance surveillance si preparano per l'irruzione nella casa del talebano, dove i sette uomini armati si sono rifugiati. Le torce illuminano la notte in fasci orientati in tutte le direzioni. Un cane abbaia, un asino fa il verso di un maiale sgozzato e tutti quelli che non russano sono abbastanza tesi. "Be a soldier suck!", afferma il sergente Schooch. La sorella temeraria di Abdul Hamid arresta la spedizione  in camicia da notte, con finta sorpresa e una lanterna mentre il fratello e i suoi sei amici si dileguano nell'oscurità. Sean Shirley, un sergente 26enne grande e forte si sorprende della disinvoltura degli uomini di Satar: "Sono toccati. Non gliene fregha un cazzo di morire. Noi siamo in posizione, ci proteggiamo a vicenda con le tattiche e tutte quelle ore di addestramento e questi entrano tranquilli come per andare a trovare la nonna." Il pazzo è in realtà l'equivalente di un nostro travestito, vanitoso e spietato. Tira pietre ai bambini se gli rubano l'attenzione dei soldati, passa ore davanti a uno speccchietto della cipria ma è quello che spara meglio, che non ha paura né pietà. Ore 6 e 22 zulu: Per l'ennesima volta arrivano gli elicotteri da Kandahar, che veramente non badano a spese. Io riprendo fiato, l'atmosfera torna respirabile. Il mio collega continua a russare.
Al mattino il livello di frustrazione è alto. Ognuno ammette di aver sbagliato da qualche parte ma la verità è che questi talebani si muovono come gatti nella notte e non ci sono binocoli a visione notturna che tengano. La tolleranza e l'amore per la gente del posto si è affievolita: "Erano quei bastardi che quando arriviamo ci salutano con la manina." Dice Joe Schooch. "Quelli che mollano le pecore e pigliano le armi." Il piano del comandante è di irrompere nei villaggi per interrogare la gente. Un villaggio qui è un grande muro di fango che segna il perimetro di quattro o cinque abitazioni. Qualcuno gli ha detto dove si nascondono i talebani. Io decido di andare in avanscoperta con la Long Range Division per scattare foto d'azione, malgrado Peterson non sia d'accordo. Accerchiamo i villaggi correndo, sotto un sole a 40 gradi, con dieci chili di giubbotto antiproiettile addosso. E' buffo vederli spostarsi con movimenti rapidi e silenziosi, sfondare porte con pedate secche e insinuarsi dentro prudenti, mentre gli afghani di Satar avanzano accanto a loro con l'aria rilassata e senza esitazioni. Troviamo donne, vecchi e bambini; e stanze vuote con i letti sfatti per venti. Troviamo bauli che coprono tunnel sotterranei, munizioni e gente che piange. Peterson tira fuori il taccuino e cerca di capire chi è cugino di chi, a chi hanno ucciso il figlio, di chi è figlio un talebano, e chi ne è nipote. Una sentinella ci comunica per radio che una trentina di uomini fugge per le campagne verso il prossimo villaggio... "Sono i bastardi, ci scappano ancora..." sussura Shirley tra i denti.

Box: A due mesi dalle elezioni si combatte tutti contro tutti.

Una battaglia tra le milizie dei signori della guerra nella provincia di Herat, nell'ovest dell'Afghanistan, ha causato la morte di ventuno persone secondo l'ultima stima. Hamid Karzai, il presidente provvisorio, ha espresso il suo dispiacere per l'accaduto senza però mandare truppe di rinforzo al governatore Ismail Khan, uno dei warlord più potenti del paese. "Finché Ismail Khan sarà governatore, continuerà la lotta.", ha commentato il comandante tagiko. Coloro che lo hanno attaccato lo accusano di escluderli dal potere del governo locale.
Le guerriglie nelle province sono la spina nel fianco del presidente Karzai, che vorrebbe un Afghanistan in pace in previsione delle elezioni del 9 Ottobre. Oltre alle battaglie tra signori della guerra che hanno causato dozzine di vittime civili nel nord, il paese subisce la lotta tra i talebani e le forze dell'esercito di coalizione nel sud e nell'est, causa nell'ultimo anno di oltre novecento vittime. Lo scopo dei talebani e dei loro alleati è quello di destabilizzare il paese, di cui solo una piccola parte è effettivamente sotto il controllo del governo provvisorio e delle truppe NATO.