Testata: La Repubblica
Data: 08-04-2003

Autore: Ortensia Visconti

BASSORA - La chiesa cattolica di rito caldeo di Bassora è adiacente a una moschea. Dalla terrazza della parrocchia si vede il suo grande crocifisso  sovrapporsi alla cima di un minareto. L'arcivescovo Gabriel Kassab è la più importante autorità religiosa per i cristiani nel sud del paese. "In Iraq, e soprattutto a Bassora c'è un'enorme tolleranza religiosa." Racconta. "Durante la guerra questa chiesa ha distribuito cibo e acqua a mille e seicento famiglie, di cui seicento mussulmane. Noi non predichiamo, cerchiamo di aiutare la gente. E in questi giorni di terrore cristiani e mussulmani si sono avvicinati ancora di più. Eravamo sotto le stesse bombe." L'arcivescovo mostra un pezzo di metallo che ha etichettato. Ci ha scritto la data del tre aprile e l'ora: le due e mezza del mattino. "E' il regalo che ho ricevuto da Bush," dice ridendo "Ero nel mio letto, con le finestre spalancate per evitare che i vetri si frantumassero. Era terribile. Bombardavano l'ufficio degli affari esteri a trenta metri da qui. Le mura tremavano. Io stesso ho avuto incubi tutte le notti. Questo è un frammento di un missile americano che è atterrato ai piedi del mio letto."
La sera del diciannove marzo, alla veglia dell'inizio della guerra, la comunità cristiana di Bassora si è riunita in chiesa per pregare per la pace. Era San Giuseppe. Kassab racconta che la gente si abbracciava e piangeva: sapevano che forse non si sarebbero più rivisti. Durante tutto il periodo dei bombardamenti la parrocchia ha aperto le porte ai fedeli che ci andavano a dormire. "Insieme avevamo meno paura," racconta Safaa J'ju, un caldeo sposato con una mussulmana. "I bambini gridavano, le donne avevano crisi isteriche. E' stato atroce."
L'arcivescovo Kassab ha una fotografia che lo ritrae insieme al Papa, incorniciata sopra la scrivania. E' un uomo alla mano, sopravvissuto a tre guerre e abituato a convivere con situazioni difficili. "Sono un religioso", dice "Non un politico. Non parlerò di politica. Ma devo dirvi che dopo quello che è successo a Bassora nelle ultime settimane ho dimenticato l'inglese." Dal 20 Aprile è mancata l'acqua in città. Il minibus della parrocchia ne portava taniche nelle case della gente due volte al giorno. Il bisogno era così grande che l'arcivescovo stesso faceva dei turni per distribuirla. Le farmacie erano vuote e chiuse. Grazie agli aiuti che provengono da diverse parti del mondo la chiesa regalava antibiotici, proteine, aspirine e altri medicinali che non si vendono in Iraq.
"Vogliamo la pace" dice l'arcivescovo. "E cosa ci portano dall'occidente? Dodici anni di sanzioni che sono peggio della guerra. Vuol dire insegnare alla gente a morire poco a poco, a essere mendicanti. Perché un bambino iracheno non ha il diritto di mangiare una banana, o di comprare una caramella? Non ci mandavano neanche le ostie per la comunione. E adesso gli inglesi. Sono venuti a sfondare la porta della chiesa per cercare qualcuno del partito del Baath. In città regna l'anarchia e non se ne curano. Se non hanno abbastanza uomini per proteggerci perché sono venuti? Solo per ammazzare la gente?"
Fino al sei di Aprile, il giorno in cui sono entrati gli inglesi, Bassora è rimasta sotto il controllo del partito del Baath. Le voci di rivolte civili, come quelle sui militari che sparavano tra la folla per intimidire la popolazione sono smentite dalla maggior parte degli intervistati. "Gli uomini di Saddam ci ignoravano e noi ignoravamo loro", rispondono in molti. La città funzionava in modo quasi normale, considerando che era in stato di guerra. "L'autorità aveva il  controllo della città fino a tre giorni fa", dice Andres Kruesi, capo delegazione della Croce Rossa Internazionale. "La vita della gente andava avanti normalmente. Ancora si lavorava. Non so come faremo a ricominciare. Tutte le persone tecnicamente preparate per mandare avanti le infrastrutture sono scomparse. Trasformatori per l'elettricità, tubature per l'acqua, ambulanze, camion antiincendio: hanno rubato tutto. Molti cittadini sono disperati perché la città non esiste più."

Molti altri sono contenti. Nessuno riesce a prevedere il futuro dell'Iraq, dopo questa inattesa libertà. "Gli inglesi sono sempre meglio di Saddam." Dice Imat, che lavora per la Croce Rossa. "Divideremo il nostro petrolio con qualcuno di più gentile di lui."